Un Po mio
Luglio 2021
Marzio Toniolo in veste di Reporter sicuramente lo conoscete in tanti, l’uomo Marzio immagino un po’ meno e da questo vorrei partire per esprimere alcune brevi considerazioni su di lui e sulla sua avventura lungo la discesa del fiume Po, avventura che ha volutamente legato ad una raccolta fondi destinati alla nostra Associazione.
Intanto con questa scelta ha ulteriormente esplicitato il suo forte legame affettivo con Luca e, con il suo carattere caparbio, lo spirito d’avventura e conseguente spirito di sacrificio, la sua passione per la natura, la fotografia e la sua indubbia bontà d’animo ha unito in un’unica impresa il desiderio di realizzare un sogno che inseguiva da bambino, ossia navigare in solitaria il fiume Po, e contestualmente contribuire al rafforzamento delle risorse economiche dell’Associazione.
Posso permettermi di affermare che Marzio è talvolta ostinato e se si pone un obiettivo solo il suo perseguimento può appagarlo, costi quel che costi. E così ecco che senza aver mai praticamente usato un kayak, senza conoscere davvero il Po e i suoi segreti, con l’attrezzatura minima che il kayak gli consentiva di portarsi appresso, ha pagaiato per circa settecento chilometri, per quattordici giorni di fila, alla scoperta del fiume da lui così tanto amato. In questo modo ha davvero “vissuto e conosciuto” il Po, in un’avventura che, passando dal navigare tratti di acque cristalline ad altre anche inquinate, superare tratti di secca o attraversare chiuse, o cercare velocemente un riparo adeguato quando il tempo meteorologico prometteva male.
Questo viaggio ha voluto poi condividerlo con tutti e tutti abbiamo potuto in qualche modo “parteciparvi”; le sue splendide fotografie e soprattutto le sue narrazioni giornaliere, a volte ironiche ma non per questo meno significative, ci hanno trasmesso le sue sensazioni, financo a farle provare anche a noi.
Posso poi garantire che niente di quanto Marzio fa, dallo scrivere semplici post o fissare in un fotogramma un’immagine, è costruito ad arte; lui è così come appare dai suoi racconti, così come sono indubbie la sua bontà d’animo e la sua onestà intellettuale. Ed è davvero bello sapere che ha tramesso, trasmette e trasmetterà sempre queste peculiarità ai bambini della scuola primaria dove insegna e che le metta a disposizione della nostra/sua Associazione.
Non possiamo che essere estremamente grati a lui e quanti hanno scelto questo modo partecipativo per contribuire a finanziare uno dei nostri progetti.
Grazie Marzio, siamo felici che tu faccia parte del nostro gruppo.
Augusto Noli
Il racconto di Marzio.
Il 14 luglio, con un giorno d’anticipo rispetto alla tabella di marcia, si è conclusa la mia avventura in solitaria, a bordo di un kayak, da Cardè (Cuneo) a Venezia.
L’idea del progetto, denominato “Un Po mio”, era quella di documentare sui social network, attraverso fotografie e diari di viaggio, la vita lungo le sponde del più grande fiume italiano. Un’avventura nata con l’obiettivo di valorizzare un territorio sottovalutato e talvolta bistrattato, raccogliendo storie e testimonianze di chi, quei luoghi, li vive e li ama.
Sin dal primo giorno mi sono reso conto che la particolarità degli incontri con la gente, seppur radi, erano di gran lunga superiori alle mie aspettative. Tuttavia non è stato mai facile conciliare l’attività fisica, che prevedeva circa 50 km al giorno di percorrenza sul fiume, con quella fotografica, proprio per la necessità di rientrare in alcune tempistiche prefissate e che, se non rispettate, avrebbero compromesso l’arrivo a destinazione nei tempi prestabiliti. Per questo motivo ho dovuto centellinare e selezionare gli approcci con la gente del fiume, limitandomi a raccogliere le storie più interessanti e, conseguentemente, a fotografarne i protagonisti. Ne è nato un lavoro visivo totalmente casuale e molto spesso dettato dalle sensazioni del momento.
La lunga discesa del Po ha fatto sì che trascorressi gran parte del tempo in totale solitudine, lontano da centri abitati e da qualsiasi elemento antropico.
Parallelamente ho cercato di stabilire delle connessioni con le poche persone incontrate, specialmente in alcuni momenti di difficoltà dovuti all’esaurimento delle scorte di cibo e acqua, ai trasbordi per superare le innumerevoli dighe del tratto piemontese o quando, quotidianamente, ricercavo luoghi adatti e sicuri per il pernottamento.
Le mie richieste d’aiuto sono avvenute in modo del tutto fortuito e sono sempre state soddisfatte, consentendomi di incontrare persone incredibilmente ospitali ed accoglienti, soprattutto quelle legate in modo viscerale al fiume.
In alcuni casi, la diffidenza iniziale dei miei interlocutori è stata spazzata via dal desiderio comune, e reciproco, di conoscersi ed ascoltarsi.
Ho scoperto la bellezza dell’umanità già il primo giorno di viaggio, accolto come un fratello da due sconosciuti a bordo di una vecchia barca di legno, con un bicchiere di birra e un piatto di alici sott’olio.
Non contento, i miei salvatori mi hanno poi condotto tra le rapide ad un approdo piratesco, offrendomi ospitalità nel loro circolo nautico.
Talvolta ho fatto incontri con personaggi incredibili e ho vissuto situazioni al limite del grottesco, degne di un libro di Stefano Benni, scoprendo la bellezza dell’esser fuori da ogni schema logico e che per trasmettere amore non è necessario avere delle regole, né fisiche né morali. Ho conosciuto un giovane parroco senza la talare, con del vino in mano e altro già in corpo, che trova la sua dimensione celestiale spogliandosi delle cose formali per essere al servizio dell’essere umano. Insieme a lui una donna dal volto tatuato con linee tribali e uomini nerboruti, a petto nudo e in là con gli anni, desiderosi di condividere un bicchiere con me e scambiare due parole.
Lello, un ragazzo sulla mia età che ha deciso di passare un periodo sul fiume, in tenda, nutrendosi anche di quello che pesca, per ritrovare un po’ di pace interiore. Non aveva nulla ma mi ha regalato delle sigarette per il viaggio.
Daniel e sua moglie, provenienti da Cuba, prima in Sardegna per raggiungere figlio e nipote, poi nelle campagne ferraresi a spaccarsi la schiena nei campi di angurie in cambio di un lavoro sicuro. Mi hanno regalato birre e frutta.
E ancora eremiti che vivono in case galleggianti, veri e propri lupi di fiume in luoghi al confine tra giustizia e crimine: dopo avermi a lungo studiato, comprese le mie buone intenzioni, mi hanno concesso ogni cosa come si fa con gli ospiti importanti, regalandomi una notte, al riparo, sull’acqua.
Ho rischiato la vita nel delta del Po per l’arrivo di una tempesta e sono stato salvato dai vongolari, che mi hanno offerto ristoro nella loro baracca.
Perchè c’è qualcosa di divino che accompagna il lento avanzare dei viaggiatori solitari, siano essi sulla via di Gerusalemme, della Mecca o di un’umile Venezia.
È la provvidenza, e non ti lascia mai solo.
Il Po è così. È un panta rei di incontri, di genti, di volti e di storie.
È la vita, che va, ed il fiume diventa metafora di ogni cosa.
In tutto questo le anime del fiume esistono, ed è quello che sognavo di incontrare ancora prima di partire. Mi hanno offerto tutto ciò che potessi desiderare, sempre con la gioia di poter aiutare. Credo che, in fondo, sia uno dei sensi della nostra esistenza.
Dal punto di vista artistico questa esperienza mi ha permesso di cambiare modo di fotografare, concentrandomi soprattutto sulla creazione di un rapporto con i soggetti che avrei voluto fotografare.
Ho avuto un approccio decisamente lento e ragionato con la fotografia, nonostante fossi comunque di passaggio, concentrandomi sul riprendere gli spazi ma soprattutto l’essere umano, vero protagonista di questo viaggio e di questi luoghi.
Ho capito ben presto che la mia visione non poteva fare a meno di quelle tracce antropiche, inanimate o meno, lungo le sponde del fiume, rubando del tempo al mio lento avanzare anche per fotografare le sculture casuali, lungo le rive in secca, in cui oggetti di umana natura e natura stessa si incontrano e fondono, creando forme bizzarre e metafisiche.
In ogni caso non sono andato alla ricerca di composizioni fotografiche particolari e non ho ricercato l’estetica nei miei scatti, ma ciò che potesse essere più funzionale alla mia narrazione, basandomi pertanto più sul contenuto che sulla forma.
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